II edizione(questa volta in modalità webinar) dell’iniziativa di info-formazione di WALCE, per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule oncogene addicted.
Test molecolari per pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC)
Quando si sospetta un tumore, si esegue una biopsia attraverso il prelievo e l’analisi di un campione di tessuto tumorale del pazienteper valutare la natura del tumore (istologia).
A completamento della diagnosi istologica è necessario eseguire la diagnosi molecolare al fine di accertare la presenza di alterazioni (o mutazioni) genetiche, sulla base delle quali il paziente potrà ricevere terapie mirate per quella mutazione.
Il tumore del polmone, un tempo considerata una singola patologia legata principalmente al fumo, è oggi riconosciuta come un insieme di malattie, ognuna con caratteristiche specifiche ed è caratterizzata da alterazioni molecolari.
Nei tumori del polmone non a piccole cellule (NSCLC), la scoperta di queste alterazioni ha consentito lo sviluppo di terapie mirate alle quali possono accedere solo i pazienti nei quali è stato individuato il profilo molecolare del tumore attraverso test molecolari.
COS’È IL TEST MOLECOLARE?
I test molecolari permettono di individuare il profilo molecolare del tumore (segni distintivi, detti anche biomarcatori) al fine di ottenere un trattamento mirato e individualizzato (eligibilità ), basato sul profilo genetico responsabile dell’insorgenza della malattia.
SU QUALE MATERIALE SI POSSONO ESEGUE I TEST MOLECOLARI?
I test molecolari offrono informazioni utili sia ai fini del piano terapeutico, sia per capire se il paziente presenti caratteristiche che gli consentano di essere inserito in qualche studio clinico, cosa che potrebbe favorire risultati migliori in termini di cura e trattamento.
Attualmente sono disponibili diverse “terapie a bersaglio molecolare“, la cui azione è diretta contro caratteristiche specifiche di alcuni tumori, tra i quali il tumore del polmone non a piccole cellule. Molte altre terapie sono ancora in fase di sviluppo nell’ambito di sperimentazioni cliniche.
COSA DEVE ESSERE TESTATO?
Il test molecolare richiede l’esame del tessuto per valutare la presenza di biomarcatori molecolari specifici. Questi segni distintivi sono in grado di rivelare ciò che guida la malattia.
Anatomopatologi e Biologi sono coloro che eseguiranno questi esami, ma sarà comunque il vostro medico di riferimento a fare da tramite.
DOVE VIENE TESTATO IL TESSUTO?
Se l’ospedale in cui siete seguiti non dispone di un laboratorio interno per le analisi molecolari, il materiale verrà inviato in un altro laboratorio di riferimento. Se si partecipa a uno studio clinico, molto probabilmente il tessuto dovrà essere inviato in un Laboratorio Centralizzato.
QUANTO TEMPO CI VUOLE PER AVERE I RISULTATI DEL TEST MOLECOLARE?
Il tempo varia da 3 a 10 giorni lavorativi. L’invio del materiale in una sede diversa dall’ospedale in cui siete seguiti può allungare questa tempistica, così come la difficoltà nell’interpretazione del test (per esempio se il materiale non è del tutto adeguato).
Mutazioni e Biomarcatori
Nell’attuale pratica clinica, le alterazioni (biomarcatori) per le quali sono disponibili farmaci mirati, sono ancora relativamente pochi, ma gli esperti sono alla ricerca di un numero sempre maggiore.
Attualmentein Italia sono approvati e rimborsati farmaci per il trattamento dei soli pazienticon mutazioni di EGFR o con traslocazione di ALK o di ROS1.
Pertanto tutti i pazienti con NSCLC in fase avanzata a istotipo adenocarcinomadovrebbero essere testati sempre fin dalla diagnosiper EGFR, ALK e ROS1.
Il test dovrebbe essere esteso anche a tutti i pazienti a istotipo squamoso non fumatori, data l’alta incidenza di queste aberrazioni genetiche in questo sottogruppo.
Vi sono altre alterazioni molecolari, recentemente riscontratenell’adenocarcinoma, per le quali in Italia non vi sono ancora farmaci approvati nella pratica clinica, ma che sono in sperimentazione e includono:
• riarrangiamentidei geni RET e NTRK; • mutazioneG12 C del gene diKRAS; • le mutazioni diMET; • mutazione V600Edelgene BRAF.
• La mutazione del gene EGFR è presente in circa il 12%-17% dei casi NSCLC.Â
Il test per la sua ricerca è prescritto a pazienti con una diagnosi di carcinoma polmonare non a piccole cellule, in modo particolare adenocarcinoma e si ottiene attraverso una biopsia su un campione di cellule tumorali o su rimozione chirurgica del tessuto canceroso; nel caso in cui il numero di cellule ottenute sia insufficiente, è possibile utilizzare un campione di sangue venoso (biopsia liquida).
• La biopsia liquida potrà essere utilizzata anche per rilevare la mutazione EGFR T790M, in grado di sviluppare resistenza ai farmaci mirati impiegati.
Questa mutazione, rara alla diagnosi, compare in più del 40% dei pazienti trattati con inibitori specifici di EGFR di prima generazione e, se rilevata, consente di trattare il tumore con nuovi farmaci mirati per questa specifica mutazione.
• Il test mediante biopsia liquida è attualmente impiegato in diversi centri, come primo approccio diagnostico meno invasivo di quella tissutale per valutare il meccanismo molecolare alla base della progressione di malattia.
Questo test è comunque poco sensibile, pertanto sarebbe opportuno prelevare un nuovo campione di tessuto, se dovesse risultare negativo per le mutazioni di EGFR T790M.
che deve essere effettuata solo in centri specializzati nei quali vi siano esperienza sul piano tecnico e alta disponibilità di tecnologie.
• Il riarrangiamento del gene ALK riguarda il 3-5% dei pazienti che ricevono una diagnosi di NSCLC con sottotipo adenocarcinoma.
• Questo test di solito è prescritto insieme o a seguito di quello sulle mutazioni a carico di EGFR e di ROS1 e la presenza di una mutazione a carico di EGFR rende inutile l’esecuzione di ulteriori esami. I riarrangiamenti di ALK sono più frequenti nelle persone che non abbiano mai fumato o che lo fanno occasionalmente e nei pazienti di giovane età (< 50 anni).
• Per eseguire il test è necessario il prelievo di un campione di tessuto tumorale tramite biopsia o talvolta tramite asportazione chirurgica della massa tumorale.
• La mutazione G12C di KRAS è presente in circa il 13% dei casi di NSCLC.
• Il test è prescritto a pazienti con NSCLC per i quali il medico stia valutando di adottare una terapia anti-EGFR.
• Tutti i possibili metodi usati per ricercare le mutazioni a carico di KRAS, coinvolgono la valutazione del gene nel tessuto tumorale.
Alterazioni più rare sono rappresentate dalle fusioni che coinvolgono i geni (RET) e (ROS1).
• Il riarrangiamento del gene ROS1 si osserva in circa 1%-2% dei pazienti con diagnosi di NSCLC, principalmente nei pazienti con diagnosi di adenocarcinoma, non fumatori e di età inferiore a 40 anni.
Come per altre mutazioni, anche questo test viene eseguito sul tessuto prelevato mediante biopsia. I pazienti ROS1 positivi possono beneficiare della stessa categoria di farmaci adoperata contro i tumori ALK positivi.
• La traslocazione di RET è collegata alla metà di tutti i tumori midollari della tiroide, al 20% dei tumori papillari della tiroide e all’1-2% dei tumori polmonari non a piccole cellule.
Si tratta di una traslocazione che porta all’espressione di una proteina di membrana che è un potentissimo driver di proliferazione.
• La mutazione del gene BRAF è presente in meno del 2% dei pazienti con diagnosi di NSCLC e viene identificata attraverso test su un campione tissutale prelevato durante una biopsia.
Generalmente è mutuamente esclusiva con le mutazioni di EGFR o il riarrangiamento di ALK o di ROS1 e si osserva con più frequenza nei pazienti con diagnosi di adenocarcinoma.
• La mutazione di c-MET è riscontrabile in modo esclusivo rispetto ad altre alterazioni nel 3/4% degli adenocarcinomi, prevalentemente in persone anziane non necessariamente non fumatori.
E’ un recettore che si trova normalmente sulla superficie delle cellule epiteliali di molti organi, riceve e trasmette i segnali di crescita e divisione che regolano il buon funzionamento dei tessuti, ma spesso, nelle cellule tumorali avvengono mutazioni di c-Met che la attivano in maniera anomala conferendo alla cellule maligna capacità incontrollata di crescita, migrazione e metastatizzazione. c-Met è mutata nel tumore al polmone diventa un bersaglio nello sviluppo di farmaci anti-tumorali. I test di c-Met solitamente prevedono la biopsia del tumore.
• La mutazione HER2, nota nella cura del tumore mammario, si ritrova nell’ 1-2% dei tumori polmonari.
• Le fusioni del gene NTRK sono state identificate in una serie di tipi di tumori solidi difficili da trattare, tra i quali quello polmone.
Attualmente è in fase di sperimentazione una terapia che rappresenta un approccio tumor-agnostic al trattamento del tumore, che significa che può mirare a uno specifico riarrangiamento genetico che causa il tumore, indipendentemente dal suo sito di origine. Il test del biomarcatore per le fusioni geniche di NTRK è l’unica procedura per identificare le persone ammissibili per il trattamento.
Nell’istotipo a cellule squamose (tumore tipico dei soggetti fumatori), per il quale, ad oggi, non vi sono terapie mirate contro specifiche alterazioni, i geni più frequentemente mutati sono: P53, PIK3CA, PTEN, FGFR1, DDR2.
Test molecolari per pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC)
L’introduzione nella pratica clinica di farmaci immunoterapici richiede anche la caratterizzazione dello status della proteina PD-L1.
Si ritiene che questa proteina cellulare sia coinvolta nei meccanismi messi in atto dal tumore per eludere le difese immunitarie dell’organismo. Il PD-L1 è un marcatore da ricercare sulla biopsia tissutale eseguita al momento della diagnosi e i livelli presenti possono influenzare la decisione di trattare il tumore con l’immunoterapia anti-PD-L1.
La diagnosi e il trattamento precoce dei tumori migliora le possibilità di sopravvivenza dei pazienti(CancerDay 2017 – OMS).
Secondo l’OMS dal riconoscimento dei sintomi all’inizio della terapia non dovrebbero trascorrere più di 90 giorni, al fine di ridurre ritardi nell’assistenza, evitare di perdere pazienti al follow-up e massimizzare l’efficacia delle terapie.
In presenza però, di sintomi sospetti, è importante contattare il medico di base, che dopo una visita, potrà riferire il paziente al consulto di uno specialista (pneumologo o oncologo).
I passaggi principali del percorso diagnostico per il tumore del polmone sono:
• Radiografia del torace
È uno dei primi esami eseguiti per la valutazione del paziente con sospetto carcinoma polmonare e sua esecuzione è molto semplice, breve e indolore, ma non consente di identificare un tumore di piccole dimensioni o nascosto in alcune zone del torace.
• TAC spirale (Tomografia computerizzata)
Se una radiografia (RX) del torace mostra la presenza di un nodulo polmonare sospetto, si richiede una TAC del torace con mezzo di contrasto per meglio indagarne le caratteristiche morfologiche.
Talvolta, insieme alla TAC del torace, si richiede anche quella dell’addome e della pelvi per indagare l’eventuale estensione di malattia fuori dal polmone (cosiddette metastasi).
Con l’introduzione della TAC spirale è possibile realizzare l’esame dell’intero torace in 20-30 secondi, riducendo la somministrazione della quantità di radiazioni.
• Tomografia a emissioni di positroni (PET)
È un esame di medicina nucleare in cui le immagini vengono ottenute dopo la somministrazione endovenosa di fluoridesossiglucosio, uno zucchero, normalmente utilizzato dalle cellule tumorali per la loro crescita.
Maggiore è l’attività di crescita della cellula, maggiore è la quantità di zucchero che viene captato. L’esame non è doloroso, l’esecuzione richiede un tempo pari a circa 3 ore e nelle 24 ore successive va usata l’accortezza di non stare accanto a donne in gravidanza.
Il medico può ritenere utile prescrivere ulteriori indagini strumentali quali ad esempio:
• Scintigrafia ossea: anche questo è un esame di medicina nucleare e viene usato per rilevare la presenza di metastasi ossee;
• TC del cranio: esame necessario per escludere che vi siano metastasi al cervello ed è raccomandato per i pazienti nei quali i sintomi facciano pensare alla loro presenza;
Se le indagini radiologiche evidenziano il sospetto di una malattia tumorale per ottenere una diagnosi certa di tumore è necessario effettuare una biopsia, che consiste nel prelievo di cellule o di tessuto da una sospetta area tumorale, che vengono analizzati al microscopio dal patologo, che effettua l’esame citologico (se il campione è costituito da cellule) o l’esame istologico (se è costituito da un campione di tessuto tumorale).
Questi esami sono indispensabili per poter fare diagnosi di carcinoma polmonare e identificarne il tipo e altre sue caratteristiche.
Grazie alla disponibilità di nuovi farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici, sarebbe preferibile ottenere una diagnosi istologica e non solo citologica al fine di avere più materiale a disposizione per effettuare⇒ indagini molecolari.
Ci sono vari tipi di procedure per ottenere il materiale da esaminare. La sede da biopsiare si sceglie sulla base di considerazioni di tipo tecnico (cosa dà meno problemi al paziente, quindi in base a quelli che sono gli esami meno invasivi).
• Esame citologico dell’espettorato
Questa tecnica non invasiva prevede la ricerca di cellule tumorali maligne all’interno di almeno 3 campioni di espettorato, cioè muco espulso dai bronchi attraverso la tosse.
Al di là del limitato materiale eventualmente disponibile, il limite è rappresentato dalla ridotta sensibilità rispetto alle procedure più invasive.
• La broncoscopia
È la procedura più comune di biopsia (ossia di prelievo tissutale) nel caso di sospetto tumore del polmone.
Permette di visionare l’albero bronchiale grazie all’uso di fibre ottiche e l’esame viene effettuato in anestesia locale, con l’utilizzo di uno tubicino flessibile contenente fibre ottiche, detto broncoscopio.
Durante la broncoscopia, passando attraverso narici o bocca, vengono raggiunti i bronchi e il medico o l’infermiere preleva campioni di cellule (campioni bioptici) dalle vie aeree o dai polmoni, che verranno esaminate per valutare se vi siano eventuali anomalie.
• L’agobiopsia, per ottenere una piccola quantità di tessuto, e consiste in un prelievo di cellule o di tessuto dall’area sospetta mediante un ago che può essere di diverso calibro a seconda dei casi. L’esame viene praticato sotto anestesia locale.
• La biopsia endobronchiale eco-guidata (endobronchialultrasound-guidedsampling, EBUS)
Tecnica solitamente utilizzata per verificare l’eventuale diffusione del tumore ai linfonodi vicini, dopo che gli esami radiologici hanno suggerito un loro possibile interessamento.
Per valutare quali siano i linfonodi ingranditi, viene fatto passare un broncoscopio contenente una piccola sonda ecografica attraverso la trachea. Per ottenere campioni bioptici del tumore o dei linfonodi, il medico può far scendere lungo il broncoscopio un ago.
L’esame può risultare fastidioso, ma non dovrebbe essere doloroso e l’esecuzione richiede meno di un’ora.
• La biopsia transesofagea eco-guidata (oesophagealultrasound-guidedsampling, EUS)
Al pari dell’EBUS, è una procedura utilizzata per confermare l’eventuale diffusione del tumore ai linfonodi vicini, dopo che gli esami radiologici hanno suggerito un loro possibile interessamento. Ma, a differenza dell’EBUS, la sonda ecografica viene inserita attraverso l’esofago.
• Biopsia di una metastasi
Nel caso in cui la malattia abbia dato metastasi, si può ottenere una biopsia dal sito metastatico (fegato, surreni, ecc).
Più raramente, la diagnosi può avvenire mediante manovre chirurgiche più invasive (la mediastinoscopia, la mediastinotomia, la toracentesi o la videotoracoscopia), eseguite in anestesia generale, con lo scopo di eseguire biopsie delle stazioni linfonodali mediastiniche non raggiungibili tramite broncoscopia.
• La mediastinoscopia
Raccomandata nel caso in cui l’EBUS/EUS non permetta di confermare se il tumore si sia diffuso ai linfonodi vicini o i linfonodi sospetti non possano essere raggiunti dall’EBUS. La procedura permette di prelevare campioni di tessuto e linfonodi da sottoporre a ulteriori analisi.
• in presenza di metastasi alla pleura si può formare un versamento pleurico (ossia un’aumentata produzione di liquido da parte del foglietto pleurico che riveste il polmone e che può essere responsabile di grave difficoltà respiratoria), la diagnosi può essere fatta esaminando proprio questo liquido e la manovra che consente di ottenerlo, si chiama toracentesi.
Anche questo esame viene fatto ambulatorialmente, con un’anestesia locale nel punto in cui viene inserito l’ago attraverso la parete toracica per estrarre il liquido.
La biopsia liquida (leggi il PDF per saperne di più ↓) è un prelievo di sangue venoso sul quale possono essere eseguite analisi molecolari quando non è possibile disporre di tessuto tumorale.
2)Può essere ripetuta periodicamente in modo semplice e sicuro. Il tumore è una malattia le cui caratteristiche molecolari possono modificarsi nel tempo, anche in relazione al trattamento che viene effettuato.
Ma il limite è rappresentato dal fatto che non è in grado di fornire le informazioni necessarie per la diagnosi di tumore per la quale rimane necessaria una biopsia tessutale.
When talking about early diagnosis the meaning of a few basic concepts has to be emphasised.
PRIMARY PREVENTION means reducing the risk factors known for a specified disease. Thus, in the case of lung cancer, primary prevention consists mainly in antismoking and tobacco habit campaigns (nicotic weaning campaigns) and in implementing the control of risk factors in the working environment.
SECONDARY PREVENTION includes all the programmes aiming at identifying the disease in the early stage and in the absence of its signs or symptoms. An example of secondary prevention is the Pap test for uterine carcinoma.
TERTIARY PREVENTION means preventing the onset of a second tumour in a person already treated for another tumour. It is carried out through periodic examinations and follow-ups planned by the reference oncologist. Screening programmes fall within secondary prevention procedures. The ultimate goal of screening programmes is to obtain a fall in mortality for a specified disease, that is a definite reduction in the number of deaths related to such an illness. In the ’70s studies were conducted on healthy subjects (mostly heavy smokers) using chest x-ray, but no study among those carried out showed a mortality reduction for such a disease in the population being examined. The same deceiving results were obtained with the performance of the sputum cytology (i.e. the search for tumour cells in the catarrh). The introduction of spiral CT (computed tomography) scan arose many hopes about this technique and its possible application in early diagnosis. The spiral CT scan allows to acquire in a unique lung ventilation (thanks to a computed reconstruction of the image) a clear representation of the thorax, improving the examination reliability and reducing radiation exposure. Spiral CT scan is a highly sensitive and specific technique thanks to its capacity of minimising artefacts (or better the alterations of images) caused by respiration. Furthermore the technique allows a relatively low dosage of radiations: 0.75 mSv (millisievert, measure unit used to evaluate radiation exposure versus 1 mSv of the simple chest x-ray.
Spiral CT scan can record also minimum differences in density among tissues (for example fluid/solid) and allows the detection of elements which otherwise could not be seen by x-ray only. In the last few years several studies have been conducted using spiral CT scan as screening examination in subjects having a ‘high risk’ to develop a lung neoplasm (thus heavy smokers). The choice of population is based on the fact that no data are still available showing unquestionably a fall in mortality for lung neoplasm thanks to the use of this system of diagnosis. It is sure that spiral CT scan succeeds in identifying more frequently and precisely the presence of small lung nodules (diagnostic superiority). It has to be emphasised, however, that most of such nodules are NOT diagnosed as tumours. In the American study ELCAP (conducted by Claudia Henske and published in 1999 in The Lancet) the yearly performance of a spiral CT scan of the chest was compared with the simple chest x-ray. The study was carried out on a sample of 1,000 high risk subjects and a clear diagnostic superiority was proved for spiral CT scan versus chest x-ray. Another example with similar results is the Japanese study (conducted and published in Kaneko, Radiology in 1996) on a population of 1,369 high risk subjects submitted to a spiral CT scan or chest x-ray every 6 months for a certain number of years.
From 2000 to 2005 also in our Hospital a programme of early diagnosis was carried out on 520 asymptomatic volunteers having a high risk of developing a lung carcinoma. These persons yearly underwent a spiral CT scan of the chest for five consecutive years. Awaiting the consolidated results on the role of spiral CT scan in the reduction of mortality for lung cancer (the results will come from large world studies presently under way), there are still many ‘dark’ points in planning a screening for lung cancer.
A number of difficulties are still present in:
– identifying and studying small size (millimetric) nodules
– determining the nature of non-solid nodules at lung level
(also called ‘ground-glass opacity’ or GGO)
– defining the frequency of performance of CT scan
(every year, every two years…)
– defining the age of start and the length of the screening
(for example starting from the age of 50 and for how many years?)
– defining exactly the characteristics of the subjects under study with the screening (the entire population or only smokers / people having had or being under an occupational exposure to potentially carcinogenic material).
In Italy, at the Istituto Nazionale dei Tumori of Milan, the project MILD (Multicentric Italian Lung Detection), co-ordinated by Ugo Pastorino, M.D. (green number 800.21.36.01;www.progettomild.org) is under way.
The goal of the project is to evaluate if the periodic examination of the chest through spiral CT scan, in association or not with other advanced diagnostic methods, is capable of reducing lung cancer mortality in high risk subjects, that is heavy smokers or ex-smokers having ceased smoking from at least 10 years, aged between 49 and 75. The volunteers enrolled are randomly assigned to two groups: a control group undergoing the pneumologic visit and the spirometric exam (an exam assessing the lung function that is the ‘respiratory capacities’ of a subject) also submitted to a programme of primary prevention providing help to cease smoking and a second group combining primary prevention to a periodic spiral CT scan (the subjects are submitted to spiral CT scan yearly or every two years).